trasformazione di un piccola manifattura

Storia di Successo

Gestione Industriale del Savoir Faire: la trasformazione di un piccola manifattura di scarpe uomo eleganti

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Fare scarpe è da più di un secolo l’anima della azienda, marchio unico nel panorama delle calzature maschili, che oggi ha la sede produttiva in Italia. Tutto è cominciato a fine ottocento con il fondatore, che fu tra i primi ad introdurre innovazioni nella costruzione delle scarpe: ad esempio la “court shoe”, prima scarpa ricavata da un singolo taglio di pelle senza cuciture visibili, che fu scelta dall’elite internazionale come simbolo di eleganza. La storia del marchio, ora di proprietà di un grande gruppo internazionale, continua per tutto il novecento attraverso profonde evoluzioni tra cui ricordiamo l’introduzione delle scarpe “ready to wear” che trasferiscono la qualità artigianale sulla produzione di grandi numeri (studiate su diverse tipologie di piede per renderle comode per ogni utilizzatore) e, negli anni ’70 la scoperta delle patine colorate per differenziare la calzatura dei giovani dandy da qualunque altra nel mondo.

Il contesto

Il successo delle iniziative di sviluppo del brand spinge la crescita, mantenendo il DNA del savoir faire ed allo stesso tempo  aumentando la complessità delle collezioni, materiali e finiture.

Preparare il terreno al cambiamento

Per affrontare questa trasformazione, il management decide di iniziare un percorso KAIZEN™ per costruire insieme alle persone un nuovo modo di lavorare che renda più semplice gestire una produzione complessa. Il primo passo è costituito dalla mappatura del flusso complessivo di una tomaia dall’arrivo della pelle alla consegna all’hub di prodotto finito.

Il trend di sviluppo privilegia alcuni modelli con lavorazioni particolari (es. Goodyear) che richiedono un tempo di lavoro del 50% superiore a quelli standard (es. Black); l’attuale sistema di montaggio prevede l’utilizzo di un’unica manovia, pur con sequenze produttive con tempi differenti. Questo causa spesso rallentamenti a monte dei modelli con le operazioni più lunghe e cali di lavoro a valle, abbassando il numero di paia prodotte all’interno della giornata. Il sito produttivo dell’azienda, impiega un centinaio di persone nei vari reparti dislocati in 2 capannoni contigui, uno occupato dalla produzione dei modelli “ready to wear” (con  i maggiori volumi di produzione) e l’altro dalle calzature su misura (che raccoglie gli ordini personalizzati su misura del cliente in tutto il mondo). Il sito produttivo del si occupa esclusivamente del montaggio e del finissaggio (famose per la patine) delle calzature, mentre riceve le tomaie da fornitori esterni.

Il prodotto

 La scarpa è un oggetto complesso i cui componenti principali sono:

  1. Tomaia: parte superiore in pelle che caratterizza il look della scarpa. Viene orlata (vari pezzi di pelle sono cuciti assieme) e poi montata su una forma in resina con chiodi e mastice. Alla fine del montaggio assume il look definitivo con il processo di finissaggio (applicazione della patina colorata e lucidatura).
  2. Suola: parte inferiore in cuoio a contatto con il terreno, incollato alla tomaia. È un componente che viene acquistato grezzo, cucito e fresato al momento del montaggio.
  3. Tacco: componente di acquisto che viene inchiodato alla suola.

Supportare la crescita e l’aumento della gamma di modelli e materiali

La crescita di volumi e il rafforzamento della presenza su mercati diversi guidano la crescita del numero di modelli da presentare ogni anno. Per questo motivo un primo cantiere KAIZEN™ interessa direttamente il processo di gestione nei primi momenti di vita di un nuovo modello, che sono i più importanti.

Occorre innanzitutto realizzare concretamente, dare forma alle intuizioni dello stilista, per assicurarsi di produrre calzature capaci di lasciare il segno nella storia della collezione e di confermarla con il successivo risultato elle vendite, in questa fase il savoir faire artigiano utilizza a fondo esperienze e prove per trovare una via per rendere producibile la scarpa.

Per attivare queste esperienze di savoir faire non è sufficiente parlare o trasmettere un disegno, occorre condividere con gli artigiani il progetto ed individuare quali siano i punti chiave di ogni operazione ed il loro limite. Le parole non bastano, occorre poter toccare le scarpe, metterle sul tavolo e guardarle da più angolazioni, tenerle in mano e soppesarle o fletterle, tendere la pelle con le dita. Il primo passo di questo processo è infatti la realizzazione di un prototipo, fatto artigianalmente, solo da alcuni specialisti artigiani, e validato dallo stilista. Successivamente utilizzato dalla manovia di produzione per realizzare una serie di calzature di prova. La prima prova, come si può immaginare, viene accompagnata da tutte le modifiche tecniche atte a rendere il modello producibile ed impegna l’intera manovia, postazione dopo postazione, fino a che ogni dettaglio produttivo è definito, dalla colla al tipo di chiodi, ai segni per il montaggio.

Tuttavia questo processo viene vissuto come una perturbazione dagli operatori, che devono rallentare il lavoro per occuparsi dei nuovi modelli. La struttura produttiva era attrezzata per “sopportare” questi eventi poche volte all’anno, mentre la sfida della crescita con lo “sviluppo continuo” di nuovi modelli richiede che diventino parte di una normale giornata produttiva. La vera forza dell’azienda passa dall’essere produttore di scarpe a quella di saper integrare professionalità molto diverse nel raggiungimento di un obiettivo comune: a questo scopo viene introdotta una routine quotidiana con una breve riunione strutturata, dove ogni componente del team porta la sua esperienza. Se, per esempio, è stata riscontrata una criticità, come una lavorazione complessa, durante la riunione mattutina viene assegnato ad un componente del team il compito di risolverla(attivando tutta la struttura) e l’avanzamento dell’azione viene tracciato fino a soluzione.

Un esempio indicativo è stata ad esempio la lavorazione del falso bombè, una particolare fresatura da fare sul “falso” della suola di un nuovo modello, che risultava particolarmente difficoltosa sia per la mancanza di punti di riferimento, sia per le diverse posture con cui gli artigiani eseguivano la operazione: si porta il fianco della suola a contatto con una fresa convessa, tenendo la scarpa con le mani e dosando pressione e contatto con il feedback dello sguardo e la attenzione al rumore della fresa: se fresi troppo hai fatto il danno! La riunione. breve ma strutturata, ha consentito di integrare i punti di vista differenti senza perderli di vista fino alla effettiva soluzione del problema: in uscita dall’incontro ognuno aveva un compito chiaro per le ore successive.

Questa lavorazione è una di quelle che deve attingere necessariamente al savoir faire, difficilmente può essere automatizzata in quanto la catena delle tolleranze è molto più ampia della severità del giudizio estetico che porta a scartare una calzatura ormai completata. Per questo si è provata la lavorazione in team con i quattro artigiani abilitati alla fresatura della suola, superando le divergenze di opinione con il processo che chiamiamo SDCA-Standard Do Check Action, che crea un nucleo di accordo attraverso la azione.

Le persone e il cambiamento

Una caratteristica fondamentale dell’industria calzaturiera di alta gamma è la centralità delle persone e del loro Savoir Faire per mantenere e migliorare la qualità del prodotto: la capacità di lavorare con la pelle, infatti, non deriva dall’applicazione di rigide specifiche di processo o parametri costanti (standard monitorabili), ma è basata sulla capacità di adeguare il i movimenti e le manipolazioni a seconda delle sensazioni tattili.

La cultura dei calzolai predilige la conservazione dei segreti del mestiere, piuttosto che la divulgazione e l’insegnamento, rendendo inaccessibile la rilevazione delle cause dei difetti all’occhio esterno. In questa cornice, il processo KAIZEN™ conferma la sua efficacia perché costruito proprio sulle uniche persone in grado di produrre un vero cambiamento, gli operatori stessi.

Mentre il processo di montaggio era realizzato su una manovia, invece il finissaggio era organizzato in banchi autonomi divisi per tipo di lavorazione: preparazione del sottopiede, lavaggio della copertura, fondo, colore, patina  e messa in scatola.

Il cambiamento è possibile solo coinvolgendo attivamente le persone nel progetto della nuova organizzazione ed aumentando la loro capacità di presidiare la qualità del prodotto nelle varie fasi e del flusso (sequenza produttiva, mix, componenti). In questo senso diventa essenziale sviluppare dei meccanismi di Daily KAIZEN™ che consentano ai team di organizzare la giornata di lavoro, rispondere ai problemi ed eventualmente fare escalation sul management.

Autonomia, padronanza ed obiettivi giornalieri chiari.

Gestione Industriale del savoir faire: la “patine”

Una fase caratterizzante il brand è costituito dalla “Patine”, una operazione completamente manuale che riproduce sulla pelle della tomaia le sfumature di colore e la lucidità speciali del modello.

Il reparto finissaggio era disposto in un ambiente unico, illuminato da luci al neon e dalle alte finestre del capannone, con tavolini sparsi rivolti al muro, dove una fila di operatrici riportano a nudo la superficie naturale della pelle con uno straccio imbevuto di solvente sulla tomaia, per poi dare il fondo e la tinta con le aniline e procedere alla famosa lucidatura utilizzando indice e medio per imprimere la giusta pressione al movimento. Uno scaffale raccoglie i master patina (campioni di riferimento) di ogni modello prodotto negli anni e sullo sfondo si notano alcuni armadi semi aperti dai quali spuntano i sacchetti colorati per riporre le calzature, tra due pallet di scatole bianche vuote. Il pavimento in piastrelle rosse è ingombro di carrellini con scarpe a vari stadi di lavorazione.

Come primo passo guidiamo il team kaizen, capitanato dalla carismatica responsabile, nel seguire passo passo il processo di finissaggio; la grande variabilità del processo fa subito sorgere i primi dubbi sulla scelta del paio da seguire. Il modello con la finitura più richiesta sembra il processo che può portare il maggiore contributo, una volta migliorato. Identificato il paio di riferimento, e avvisate le colleghe del temporaneo disturbo, il team procede con l’osservazione: come possiamo notare, la qualità dipende dalla quantità di  colore, dalla umidità della pelle o dalla variazione di pressione  esercitata, con una tale precisione da richiedere più di un’ora per completare il paio.

Subito dopo seguiamo il processo anche di un modello differente, per verificare la variabilità del processo, e registriamo i risultati per visualizzare i differenti carichi di lavoro delle postazioni.

Ogni modello ha un processo particolare, anche se le fasi comuni a tutti i modelli sono simili: lavaggio della tomaia, fondo, colore, lucidatura. Di solito chi fa il “master patina” insegna poi alle colleghe come fare.

Altra osservazione è che la disposizione dei tavoli è organizzato per competenze funzionali, ci sono una due persone che mettono il sottopiede, una persona che fa il lavaggio e poi le 12 operatrici del finissaggio. a lucidatura completata un’altra operatrice “mette in scatola” completando con lacci, sacchetto e se presente la lucidatura della suola.

Naturalmente si accumulano carrelli con scarpe  prima dei banchi occupati dalle lavorazioni più lente o in attesa della messa in scatola. Ogni operatrice ha il suo lavoro ed è indipendente dalle altre. In alcuni casi, abbastanza frequenti, la lavorazione viene interrotta a causa di accessori mancanti, generando ulteriore stock di semilavorato per un totale di 5 giorni di attraversamento  e circa 90′ di lavoro a valore.

È necessario ridurre il tempo di attraversamento dando regolarità al flusso e consentendo un addestramento continuo ed un trasferimento delle best practice sul modello/commessa specifica.

Per partire, proviamo a mettere in fila le operazioni senza farle passare sui carrelli si viene così a creare una linea ad “U” . Si tratta di un ben noto strumento del Total Flow Management in cui la linea ad “U” è pensata per avere gli operatori all’interno che sono riforniti in continuazione di materiali per non interrompere mai il flusso ed assorbire la variabilità.

Standard nel modo scarpe: la “manovia”

Prima soluzione “one piece flow”: linea ad “U” standard

Si prova subito e…non funziona! Anzi, il fatto di lavorare in sequenza e di spalle non permette di controllare la variabilità nelle varie fasi e genera attese e stock intermedi.

Il cambio di paradigma

Dobbiamo cambiare paradigma. Il nuovo standard a cui il team arriva dopo qualche prova ribalta l’organizzazione originale e ricorda la marcatura a zona praticata nel basket: l’operazione che di volta in volta si rivela più critica deve essere raddoppiata per bilanciare i tempi di lavoro. Per raggiungere questo obiettivo il team definisce un layout di banchi ad “U”, ma con le persone sull’esterno e con all’interno uno spazio predisposto per far lavorare un’altra operatrice che raddoppia  al bisogno. 

L’operatrice di supporto, detta Jolly, può anche occuparsi del training di una delle operatrici della postazione; questo è un aspetto particolarmente importante per aumentare la capacità di affrontare la variabilità esistente ed accentuata dai sempre più frequenti nuovi “lanci di produzione”.

Il risultato è sorprendente:

  • Zero stock di incompleti
  • Produttività aumentata del 25%
  • Riduzione del carico ergonomico tramite rotazione nelle postazioni ed inserimento della messa in scatola a bordo “linea” come postazione di “recupero”

La modifica delle postazioni di lavoro ha migliorato anche l’interazione tra le operatrici, che adesso possono parlare e scambiarsi consigli in caso di bisogno il concept è radicalmente opposto ai principi tayloristici di divisione del lavoro: qui adesso ci si guarda come davanti ad un focolare e si trasmettono le informazioni e le best practice agevolmente. Questo ha contribuito a migliorare il clima del reparto. L’estate seguente, visti gli ottimi risultati l’azienda decide di investire e spostare l’impianto di aspirazione che era agganciato ai muri e vincolava la posizione dei banchi: adesso entrando in reparto si può ammirare il nuovo layout con le squadre al centro della stanza, l’area per i carrelli da lavorare e, alle pareti, i master patina esposti ordinatamente su un mobile. Pensate che nessuno possiede questa collezione completa di modelli iconici.

Il team a questo punto decide di intraprendere un’azione 5S per rendere evidente il flusso di lavoro ed eliminare tutte le scorte di materiali inutili. Ma non basta un 5S qualunque: bisogna rispettare lo stile del marchio e creare un ambiente che ispiri qualità ed eleganza, oltre a favorire lo svolgimento del lavoro.

Le principali azioni fatte sono state la modifica dei tavoli, impreziositi da ripiani in pelle decorati con patina e lucido come nei modelli di punta della collezione, e la creazione di un semplice sistema di visual management del carico di lavoro: il lavoro giornaliero è stato organizzato in carrelli (kit completi di scarpe, accessori, sacchetti e scatole) utilizzando un’area marcata a terra con strisce che visualizzano la coda di lavoro da smaltire.

Le ragazze si sono divise in 9 team da 3 persone, garantendo in ognuno la competenza su tutto il processo, e la regola è che un team lavora solo su un carrello fino al suo completamento. Già queste prime azioni hanno portato una riduzione dello stock di semilavorato, evitando il problema dei mancanti (i carrelli non sono lavorati se non c’è tutto il materiale occorrente).

Ora gli unici carrelli visibili sono quelli in lavoro vicino ai tavoli; tutti gli altri carrelli (quelli in attesa di essere lavorati e quelli in attesa di completamento) sono organizzati in un’area delimitata che aiuta a distribuire il carico tra i team di operatrici. Il primo passo è compiuto: il reparto sta cambiando volto e anche le persone. Visto il buon esito delle prime azioni decidiamo di continuare affrontando il tema della variabilità dei tempi di lavoro all’interno dei team.

La linea di montaggio

Il reparto montaggio è composto da 18 persone, prevalentemente uomini, al lavoro sulle macchine disposte intorno ad una lunga manovia. Qui fa la costruzione della scarpa, il processo che comincia con la tomaia da montare sulla forma, prosegue con l’applicazione della suola, la cucitura, la fresa e si conclude con la pulizia finale.

Anche qui il primo passo è stato un cantiere 5S che ha aiutato a ripensare la gestione dello spazio e del flusso produttivo, creando al contempo un ambiente in stile con l’immagine del brand. Dopo alcune settimane la domanda da parte degli operatori si faceva incalzante: quand’è che cominciamo a parlare dei problemi di produzione? La sola opera di pulizia non basta a togliere tutti i problemi accumulati!

Anche in questo caso siamo partiti in team ad osservare il flusso, notando una costante lungo tutto il percorso: prima e dopo ogni lavorazione c’è un movimento “da” e “per” la manovia. Un movimento così diffuso da non essere nemmeno più percepito. Un Muda. Il primo di una lunga serie.

L’azione è stata semplice ed immediata: dopo aver simulato la disposizione delle macchine utilizzando delle cassette di plastica,il team ha preso il trans pallet per avvicinare le macchine che fanno lavorazioni contigue organizzandole nella tipica cella ad U, ottenendo anche una diminuzione di spazio rispetto alla soluzione precedente. Alla fine la manovia è stata sostituita da una serie di tratti ad “U” in cui le scarpe vengono completate senza tornare sul carrello fino al completamento della macrofase. Tra le macrofasi lo spostamento avviene guidato dai  carrelli e dallo standard wip.

Notiamo poi che il processo di approvvigionamento delle forme ad inizio manovia è complesso: il diagramma a spaghetti evidenzia molti movimenti per reperire le forme desiderate. Similmente all’area macchine, siamo intervenuti subito; il team ha creato un “supermercato forme” vicino all’area di carico manovia, studiato per diminuire i movimenti ed identificare subito i mancanti ed un tabellone di programmazione giornaliera per ripristinare il “giro forme”. Tolti i primi muda si cominciano ad affrontare problemi più profondi, che vivono in manovia da anni: anche qui la variabilità delle lavorazioni è causa di scompensi, perché i carrelli lenti “creano il tappo”, ostacolando l’avanzata del lavoro specialmente prima della cucitura. Si evidenzia qui un problema legato alla specializzazione delle persone: la polivalenza è molto bassa e manca nelle operazioni difficili che richiedono anni di esperienza e si trasformano in colli di bottiglia per l’intero sistema.

Quali sono le difficoltà a fare l’addestramento in un contesto artigianale?

  1. TEMPO: Se chiediamo agli esperti ci vorrebbero anni per formare un addetto. Non li abbiamo.
  2. METODO: In fondo in fondo gli esperti non sanno come addestrare, nessuno glielo ha mai insegnato. Per cui spesso l’addestramento si riduce ad una frettolosa illustrazione del lavoro da fare ed un interminabile “affiancamento” in cui spesso l’allievo e’ poi lasciato da solo con i suoi problemi e sviluppa al meglio la sua “versione” del lavoro.

La buona notizia e’ che da circa 70 anni esiste un metodo che rende facile insegnare. Il suo nome è Training Within Industry (TWI). Il metodo TWI rende protagonisti gli esperti di un determinato lavoro, insegnandogli ad insegnare ed a creare a cascata dei trainer interni. I trainer possono essere valutati e certificati essendo il metodo di training codificato e quindi valutabile. Il TWI si basa sul concetto base di seguire la curva di apprendimento di chi impara, utilizzando un metodo in 4 passi, da svolgere sul Gemba, che consente di massimizzare la velocità di apprendimento. Il metodo è molto efficace perche’ scompone la sequenza di addestramento in 4 passi che seguono il ciclo di apprendimento della persona aggiungendo stimoli successivi in sequenza: “non dare più informazioni di quelle che la persona può assimilare”.

Inoltre unisce postura e movimento gia’ nelle prime fasi di insegnamento, riattivando il modo di apprendere naturale tipico dei bimbi: per imitazione. Ma soprattutto capovolge il paradigma classico dell’insegnante: “se l’allievo non ha imparato , l’istruttore non ha insegnato”.

Abbiamo preparato un training specifico sulla sensorialità, che aumenta la capacità di coordinare i sensi coinvolti nel lavoro, la vista ed il tatto, prima di procedere con l’insegnamento delle operazioni. Un primo risultato positivo è stata la possibilità di sostituire l’esperto della cucitura durante un breve periodo di malattia senza soffrirne troppo la mancanza.

Per aumentare il coinvolgimento degli operatori il team ha diviso la manovia in 5 aree, dove un referente controlla il flusso di lavoro. 4 volte al giorno i referenti si riuniscono con il capo della manovia e decidono la tattica per le 2 ore successive, in modo da essere reattivi al mutamento del mix produttivo o ad eventuali problemi. Ogni area ha un tabellone di visual management dove sono riportati i principali indicatori ed il piano d’azione per migliorare qualità efficienza e ambiente di lavoro. Le azioni intraprese, oltre ad aver stabilizzato il trend di crescita della produttività, sono state particolarmente utili per favorire l’inserimento di nuovo personale proprio nei punti più critici. Durante la chiusura estiva l’azienda ha deciso di cambiare radicalmente look: lo spazio utilizzato dal magazzino è stato utilizzato per allargare la manovia, il pavimento, tutti i macchinari e la manovia sono stati riverniciati di bianco per ricordare a tutti la bellezza di lavorare in un ambiente pulito in linea con la eleganza del prodotto.

Conclusioni

  1. È possibile coniugare la prospettiva industriale e la manualità di lavorazioni artigianali: la Gestione Industriale del savoir faire.
  2. Per mantenere e migliorare la qualità del prodotto è necessario coinvolgere le persone nel processo di miglioramento. Occorre ripensare le operazioni in modo da favorire il continuo confronto e apprendimento come in una bottega rinascimentale.
  3. Le soluzioni  industriali codificate in ambienti industriali tradizionali (automotive)  non sono applicabili direttamente ma occorre ritornare indietro ai principi di base di valore e muda e da li sviluppare soluzioni specifiche per il tipo prodotto e per il livello di maturità dei team operativi.
  4. Quality Borns at Workplace (la qualità nasce sul posto di lavoro). Il limite principale alla crescita è dato dalla capacità di formare persone capaci di fare il lavoro con la manualità e la capacità richiesta dal prodotto. Gli operatori piu’ esperti non sempre sanno insegnare, occorre un metodo strutturato e ripetibile.

Il training sul campo (Training Within Industry) diventa una leva strategica da governare  con metodo in almeno tre momenti:

  1. Introduzione di un nuovo modello (Lanci linea).
  2. Realizzazione di operazioni particolari (per compensare aspetti specifici deli materiali naturali come la pelle ed il cuoio.
  3. Addestramento di nuovi operatori per aumentare la produzione.

Per questo è necessario sviluppare un team di trainers interni che adottino un metodo consolidato come il TWI.

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